sabato 19 marzo 2011

0

Eco

Ricordati la prima volta che ci siamo baciati. Dietro le docce dei bagni, a un’ora pomeridiana improbabile per un primo bacio, anche a quindici anni. Gli amici del mare erano appostati dietro a ogni spigolo, per seguire la diretta dell’evento. Era surreale scambiarsi umori sopra il malcelato brusio misto di ilarità puerile e soddisfazione amicale, ma lo facemmo lo stesso, per qualche secondo. Dico qualche secondo, perché quando hai in bocca la lingua di qualcuno, il tempo sembra dilatarsi a dismisura, deve essere che è un atto così invasivo, ma poi sono sempre e soltanto una manciata di secondi, una sterminata quanto manciata di secondi. Aggiungi la pressione degli occhi nascosti male dietro angoli troppo acuti, e capisci perché a un certo punto ti dissi: via, si torna di là? Che idiota, il nostro primo bacio.
È stata quella volta sul Viale Italia, dopo l’ennesimo pomeriggio di emeroteca consumato sui termosifoni del primo piano a chiacchierare, di cosa poi, si inventa di tutto pur di non studiare. Ma era bello non studiare con te su quei termosifoni, dava l’idea del tempo caldo che cercavi, e di quanto eri coinvolgente. Mi volesti portare tu sul Viale Italia, che a quell’altezza si chiama già Viale di Antignano, poco più in là dell’Hotel Universal: avrai pensato che un lungomare è sempre abbastanza romantico e che dopo tot pomeriggi di termosifoni, una colazione, un passaggio verso casa, che insomma era il momento di qualcosa di più. Ci siamo seduti a cavalcioni sul parapetto, ti ho prese le mani per avvicinarti a me e ti ho baciato, una manciata di secondi, e tu mi hai detto: sono contenta di averti conosciuto. Che strana frase, mi stavi conoscendo da appena una settimana.
È vero, fu una settimana bianca, una notte di aprile in una baita a Cortina, eravamo rientrati dopo una serata fuori con gli altri e tu dicesti “non ho sonno, rimaniamo un po’ qua”, che sarebbe la sala dove si leggevano quotidiani e riviste, prima della cena. Ci mettemmo comodi e tu mi massaggiasti il collo, non lo avevo chiesto ma era perfetto, e piano piano ti avvicinasti con le labbra e con il fiato, non c’era via di uscita, ti piaceva vincere facile: la manciata di secondi giusta per vincere anche il giorno dopo, fino a che al rifugio di Ra Valles, dove fanno una Sacker sublime, ti dissi che avevo altro per la testa, banale ma vero ed efficace, e tu controbattesti che no, dammi un bacio o non torniamo a sciare. E non te lo diedi.
Perché il primo bacio te lo diedi a casa mia, era la notte del mio ventisettesimo compleanno. Tutti nei loro letti a parte tu, un vero e proprio caso dopo che mi avevi fatto accomodare sui tuoi soffici chilogrammi di tette, stesi sulla dormeuse in stile Luigi Filippo del salone, mentre ancora i divani senza stile chiacchieravano. Ti appoggiasti sul davanzale della finestra spalancata, due metri e venti di finestra giunta direttamente dal settecento per fare il tuo gioco, gomiti dietro e petto in fuori, sembrava un invito a non morire mai, e se proprio dovevo morire, dovevo farlo là dentro. Ti portai la mano dietro il capo e ti baciai, la manciata di secondi minima che ti spinse a chiedere: questa è una buonanotte livornese? No.
Eravamo sul lungomare, avevi ragione, passeggiavamo dallo Scoglio della Ballerina in direzione della scalinata di Antignano, quella che nei progetti di Ciano doveva arrivare fin su al suo mausoleo, secondo una leggenda metropolitana logisticamente insostenibile. Ci sedemmo su delle pietre che non erano fatte per sedersi, ma noi volevamo prendere freddo seduti sul tirreno in attesa della prima manciata di secondi, che arrivò con la schiuma del mare intorno alle tre di notte, non c’erano le stelle e io ti suggerii un posto più comodo di quelle pietre che erano residui di scoglio. Mi rispondesti che il mare, le mie mani nei tuoi riccioli, le dita che si intrecciano, lo smalto rosso, le luci della FiPiLi, la persistenza della memoria.
Adesso ricordo con persistenza di non averti mai baciata, a meno che non fosse una di quelle notti in cui l’ultima cosa al mondo è dire, fare, baciare, quelle notti in cui sarebbe meglio essere stati morti piuttosto che rischiare di dimenticare il nostro primo bacio in fondo a una bottiglia vuota, al pozzo dei ricordi mancati, al tuo palato anecoico. Continuo a crederci, chérie, perché mi manchi. Ci vediamo un giorno di questi giorni, quando hai una manciata di secondi liberi o giù di lì, anche se non ci spero proprio.

Nessun commento:

Posta un commento