domenica 27 marzo 2011

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Postambolo

A Roma c’è una pioggia inglese, perché così si dice che sia la pioggia inglese, mentre è innegabile che un ipod può durare tutto febbraio. Quark Incanto e quark Strano passeggiano nel quartiere di tutte le città, ignorano che quark Bellezza non è seduta in un treno della metropolitana, e non legge. “Io odio chi legge in metropolitana, cosa vuole dimostrare?”. L’immagine di sfondo è fissa, i caratteri sono i soliti che si vedono sui cartelloni pubblicitari, tu generici mai espressi in times new roman. “Leggere mezza pagina di libro in mezzo a tutta quella gente in sei minuti di treno è talmente impossibile che odio chi ce la fa, perché so che non ce la fa, e allora vuole dimostrare qualcosa”. Frangit membra labor, sublevat alma quies. “È stato bello finché è durato, chérie, ma questa è una grossa cazzata poiché se fosse stato bello finché è durato non starei qua a parlare al presente di qualcos’altro, mentre quello che è durato non è stato bello, ma è stato bello talvolta”. Quark Strano annota una bozza sul cellulare. “Quando mi ricordo che Ikea è una parola che viene dal greco penso che siamo finiti proprio in un bel mondo di merda, chérie. Poi mi riprendo un po’, pensando a tutti quelli che hanno sfondato grazie a un libro brutto, di quelli che la gente ostenta mentre tenta di leggerne mezza pagina su una corsa della metropolitana. Poi mi accorgo che per scrivere un libro brutto serve comunque la capacità di scrivere un libro brutto”. Ignora che quark Bellezza non sta leggendo un libro brutto. Quark Incanto pensa alla sua parete di orologi, al fatto che le distanze spaziali danno un senso più concreto a quelle temporali, e a come il grigio metallizzato sia il colore più sgradevole mai inventato. In maniera quasi altrettanto ovvia, quark Bellezza sta scrivendo sul suo portatile. “Ed è così che ho preso questo altro treno, che è solo uno tra i tanti che passano, uno dei pochi che non ho perso, e subito è comparso questo tizio, mi ha detto ‘Scusi, posso sedermi qua, che cammino male?’. Ho pensato fosse dio venuto a mettermi alla prova, l’ho smascherato subito, e ho risposto ‘Ma certo, prego’. Mia madre, abbozzata fuori dal finestrino, si è preoccupata: evidentemente non apprezza certe manifestazioni di dio. Il treno è partito, un po’ come tutti i treni, e io mi sono seduta, un po’ come tutti i passeggeri. Dio era di fronte a me, completamente fatto, aveva gli occhi trasparenti e si lamentava di un ginocchio che gli dava pena. Ho notato che portava con sé una bottiglia di Coca Cola, e una busta rossa al cui interno vedevo muoversi del liquido: era un’altra bottiglia di Coca Cola. Mi sono detta ‘Strano, a dio piace la Coca Cola’. Mi ha chiesto cosa avrebbe dovuto dire al controllore, dato che non aveva fatto in tempo a timbrare a causa dei suoi problemi di deambulazione. Me lo ha chiesto con un tono molto delicato, una voce gentilissima, dandomi del lei. Dopodiché, dio ha tirato fuori dalle tasche del suo giacchetto rosso-trasandato uno walkman di plastica, anni ’90, del genere di quelli che si trovavano nei detersivi, e ha cominciato ad ascoltare la techno a tutto volume, muovendosi come uno tutto fatto. Giuro, si sentivano suoni da rave, fischi, casse sparate e bpm frenetici, e nel frattempo dio muoveva le labbra come se stesse riflettendo a voce alta ma senza voce, o almeno io non riuscivo a sentirla. Certa gente, ormai, utilizza la musica come un capo alla moda, come se fosse un accessorio da mettersi addosso per essere più fighi, ma dio no, e non so perché, ma ero sempre più sicura che si trattasse di dio in persona, se di persona si può parlare, tant’è che, a un certo punto, ha spento lo walkman, lo ha riposto nella tasca e con la sua voce delicata ha iniziato a parlarmi di Madre Teresa e dei bambini, non saprei bene dire per quale collegamento, magari me lo sono perso nel rumore della seconda classe di quel treno regionale, un inquinamento acustico che comunque non è in grado di impensierire dio. Ho creduto giusto essere gentile come il mio interlocutore, e così ho conversato con lui, per il poco che riuscivo a sentire. Mi ha ricordato la mia gatta nel suo ultimo giorno, un corpo che marciva da tempo e che chiedeva solo di non marcire oltre. Un corpo giallo e smunto, senza più fegato, con gli occhi velati di oblio. Quel giorno era già morta e probabilmente se ne vergognava, perché si mise col muso in un angolo della sua scatolina triste, come una modella bulimica, e lei sì che era una modella, che sfilate Milady! Ho pensato che forse non si ha veramente paura di morire, piuttosto vergogna. Mi faceva pena, così mi avvicinai per darle un’ultima carezza e lei fece uno sforzo enorme per emettere una specie di grido, forte come non pensavo che un morto potesse gridare, e poi un sospiro pesante, a buttare fuori ogni residuo di anima, anche la mia. Ti pregai di portarla subito a sopprimere, ricordi? Chissà perché ci prendiamo la libertà di sopprimere le bestie che soffrono, quando sono incurabili, e non le lasciamo morire come malati terminali, cadaveri in eccesso. Devi conoscere il tuo cadavere accessorio, Strano. Sì, ho pensato anche che fosse qualche straccio della mia coscienza, che magari esistesse veramente, o una mia anima. Uno tra noi deve apparire completamente pazzo, malato, inquietante ad Incanto. E così c’è questo dio che ci lascia solo una finestra, e sono su questo treno, uno tra tanti che passano, uno dei pochi che non ho perso, e penso. Penso al giorno in cui se ne andranno mio padre e mia madre, e so che mi dispiacerà. Non tanto per un banale amore filiale, quanto piuttosto perché ho capito la passione, il sacrificio che hanno messo in ogni attimo perché tutto fosse perfetto, perché i figli che hanno regalato a questo mondo potessero avere ancora più felicità e soddisfazione di loro, perché avessero compagni di vita e di avventure all’altezza, perché sentissero poi loro stessi il medesimo istinto nei confronti di altri figli e perché credessero a un dio che puoi incontrare a ogni angolo, anche in treno, e che dispensa finestre. Ho capito cosa sono un quark su e un quark giù quando non sono più un quark su e un quark giù, e so che mi dispiacerà. Ma questo dio ci lascia solo una finestra, ti dicevo, questo universo in cui non si può creare niente dal nulla, in cui non si può produrre più energia di quanta se ne consumi, da cui non esce mai più luce di quanta ne entri, questo dio che ci fa girare come trottole a tot km/s intorno a noi stessi, ai pianeti, alle stelle, al centro delle galassie, a tanti assi, intorno ad ogni cosa, per motivi che saranno chiari in seguito. Non è banale. È arrivato il controllore e questo dio delle finestre gli ha spiegato a mezze parole il discorso del biglietto e del ginocchio, mentre rufolava nervosamente nelle tasche dei jeans, da cui ho visto uscire monete, cartamoneta, pezzi di biglietti, tocchi di fumo e una frenesia quasi logica. Il controllore si è dimostrato comprensivo, e ci credo, convalidava il biglietto a dio. Sono seguiti altri discorsi di cui ho capito poco, un autobus che speriamo mi aspetti, la salita verso le case popolari, il ghiaccio che speriamo ci sia in casa, il freddo che fa là fuori, dopodiché il treno ha raggiunto la stazione di Campiglia Marittima, e dio è dovuto scendere, soffrendo come un cane per colpa del suo ginocchio. Prima di andarsene, però, mi ha chiesto il nome, poi il cognome. Ho pensato ‘Hai visto mai che dio voglia ricordarsi di me?’, così glieli ho detti”. In una finestra delle tante, ma non in questa, quark Strano riceve la lettera di quark Bellezza. Quark Incanto abbozza una poesia. “Erano due anni che non ti vedevo/usare un punto esclamativo, Bellezza,/quando l’ho visto sono rimasto/un po’ stupito. Ho pensato alla morte/e un po’ anche all’universo/come che la morte sia allo stesso tempo/drammatica e insignificante/e l’universo la lenta morte di dio/o forse una nascita concettualmente inesistente/perché dio è principio,/ma se fosse il fine?/se dio stesse assemblandosi/o riassemblandosi dopo essere esploso, magari/per sbaglio, nutrendosi del tutto?/dio onnipotente, onnipresente,/onnivoro/il tempo la sua lingua/con cui lecca il suo cibo/lo instrada nel suo stomaco/fatto di infiniti buchi neri”. In tutta questa finestra manca almeno un quark, ma è difficile accorgersene. Quark Strano si ferma per un attimo, mentre quark Incanto pensa alla sua lampada multicolore, al fatto che nello spazio non ci sono problemi di spazio, e a come l’evidenziatore sia lo strumento più ottuso mai inventato. Passeggiano con i loro abbozzi, ignorano che quark Bellezza ignora tutto questo, mentre dio apre un’altra finestra.

3 commenti:

  1. Bellissimo!

    Grazie mille per il commento, CIAO!!! :-D

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  2. Io ho sempre odiato il times new roman (che qui su questa piattaforma mi è impedito di usare nei commenti) e l'ho sempre attribuito alla mia scarsa capacità artistica ed al fatto che quell'unica volta che mi incantai nella lettura di un articolo di una nota testata sportiva che lo usa arrivai fino al capolinea del metrò.
    Da allora rifiuto di leggere cose scritte in quel font, tanto che per leggere questo post ho dovuto fare un copia incolla su word e poi ho cambiato il font con il mio preferito di cui preferisco non dire il nome per via della praivasi.

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  3. Beh... sempre bravissimo e sorprendente; questi racconti di pensieri "paralleli" hanno un "taglio" che mi piace molto, per modo e ritmo.

    Doris

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